Presentazione
Durata
dal 1 Gennaio 2019 al 22 Gennaio 2019
Descrizione del progetto
Concorso letterario “I giovani riflettono sulla scuola”
Primo Premio: Giada Fossati 3^F
Secondo Premio: Greta Vanotti 3^F
Terzo Premio: Gaia Licini 4^L
Di seguito i testi vincitori, mentre per vedere le foto seguire il collegamento Fotografie premiazione Concorso “I giovani riflettono sulla scuola”.
Obiettivi
Riflessioni sulla scuola di oggi.
Partecipanti
studenti del Liceo
Risultati
Primo Premio
Giada Fossati 3^F
Sfumature di Colore
Spesso ci si trova ad affrontare una questione senza tempo: la scuola. Per anni, se non secoli, studiosi, filosofi e insegnanti hanno espresso al riguardo pareri, giudizi e opinioni, favorevoli o meno. Riflettendo sulla mia esperienza personale e leggendo la traccia, mi è sorta una domanda spontanea ... perché mettere a confronto tutti questi aspetti della scuola ( quali originalità- schematismo, dovere-piacere, singolarità-gruppo, passato-futuro, ecc.) pare come una scelta nettamente distinta? Dal mio punto di vista ogni cosa, persona, fenomeno, grande o piccolo, globaleo locale che sia, come la scuola per esempio, è formata da milioni di sfaccettare differenti. Non credo nella decisione tra il bianco e il nero perché so che, cercando, si troverà sempre il grigio.
Così, pensando alla scuola, non separerei mai gli aspetti citati.
Quindi, sempre secondo il mio parere, la scuola, che per definizione è un luogo di istruzione, è anche un luogo di maturazione, crescita e formazione personale. Questo prevede conoscenze, così come prevede competenze. Non posso pensare ad una scuola di sole conoscenze tanto quanto non posso pensare ad una scuola di sole competenze. Non siamo magazzini da stipare di informazioni.
Citando William Butler Yeats, “ siamo fuochi da accendere, non secchi da riempire”.
La conoscenza nuda e cruda vale ben poco; è compito della scuola, dell’insegnante insieme agli alunni, di approfondire, di scavare e di apprendere in maniera vivace ciò che può derivare dalla conoscenza. La visione della scuola come imposizione deriva anche dalla pretesa comune di imparare discipline e nozioni come mattoni a sé stanti.
Sorge spontaneo quindi chiamare in causa il famoso detto “Prima il dovere e poi il piacere”. Nella mia idea di scuola le due cose dovrebbero andare di pari passo. Spesso però, soprattutto nell’ideale dei giovani d’oggi, la scuola è vista come il luogo “cattivo” , che ruba tempo prezioso, che rovina le giornate, un’inutile perdita di tempo. Io invece penso che la scuola dovrebbe essere un piacere, un luogo dove andare volentieri tutti i giorni, con la consapevolezza di star arricchendo se stessi e di star apprendendo fondamenti utili e importanti per il bagaglio culturale di ciascuno di noi. Il detto potrebbe far apparire la scuola come un dovere, ma se cominciassimo a far sembrare la scuola più un piacere, forse, non ci sarebbe in primo luogo la necessità di separare questi due ingiustamente definiti lontani emisferi.
Come ho detto prima, le mie convinzioni mi portano a credere ad una realtà multipla, relativa, perché sin da bambina mi hanno insegnato e spiegato che siamo tutti diversi, che la diversità è una delle nostre più grandi qualità. Il confronto tra diversità fa nascere grandi collaborazioni, ottenere grandi risultati. Il confronto è movimento, il movimento è vita. Una classe è formata da molteplici realtà, tanti individui, tante storie e tanti possibili sviluppi. Per questo motivo il lavoro di gruppo è importante come è importante il rispetto per l’individuo. Così, spesso, alla lezione frontale è importante affiancare una lezione didattica, un laboratorio, un momento in cui analizzare l’appreso e in cui confrontarsi.
Nella stessa maniera mi appare il confronto passato-apertura verso il futuro. Noi siamo il futuro, non è un segreto così come non è un segreto che il passato sia immodificabile. Questo però non significa che le due realtà siano mondi separati; il passato è la nostra chiave per guardare al futuro. La conoscenza del passato, la memoria e i ricordi che si hanno di questo, portano ad una particolare visione del futuro. Non dimenticando tragici eventi possiamo prevenire il ripetersi di questi. Inoltre, come ho appreso dalla lettura di un’ opera dell’autore Edgar Morin, il modo migliore per prepararsi al futuro è avere coscienza del presente, del passato ma soprattutto coscienza degli errori. Secondo l’autore francese, infatti, la scuola del cambiamento dovrebbe iniziare alla ricerca critica della realtà tramite la consapevolezza dell’errore e l’esercizio a correggerlo, utilizzando la cultura come tramite.
Molti possono avere una visione unilaterale della scuola; per molti dovrà essere il mero e puro apprendimento, per altri forse dovrebbe limitarsi alle nozioni fondamentali di base. Magari alcuni vorrebbero veder crescere una generazione di giovani tutti uguali, considerando la scuola una sorta di computer programmatore, sviluppatore di copie dello stesso modello considerato perfetto. Altri ancora non riterranno la scuola neanche importate. Però io credo che in anni di progresso e di regressione, di alti e di bassi, ci siamo finalmente resi conto tutti della sua importanza e dei fondamenti su cui si basa: libertà di espressione, di pensiero, il rispetto e la pace. Ognuno è giustamente libero di pensare quello che ritenere più giusto, consapevole però, che limitandosi a considerare uno solo dei due lati della medaglia si andrà a ledere la possibilità di far emergere le numerosi combinazioni ottenibili solo con ambedue i lati.
È difficile distinguere tra giusto e sbagliato, tra cosa è male e tra cosa è bene; quello che è apparentemente male per uno, può essere bene per un altro. Nella favola proposta di Bencivenga, ad esempio, vengono descritte due scuole e la domanda apparentemente banale su quale scuola proposta sia davvero considerabile scuola è molto intrigante. Ma come ormai credo abbiate capito, tra le due non scelgo nessuna, le scelgo entrambe, entrambe con i loro punti di forza e le loro debolezze perché, così come gli aspetti proposti, insieme non sono antitetiche, si completano. Una grida libertà di pensiero ed espressione, e l’altra grida giustizia e parità e scommetto che, insieme, sapranno fondere ideali e valori adatti a crescere le generazioni del futuro. Perché la scuola non deve essere nera o bianca, deve saper adattarsi e saper essere una guida nella crescita di milioni di sfumature di colore.
Secondo Premio
Greta Vanotti 3^F
Nella nostra epoca tutti vanno a scuola, bambini, adolescenti e ,molto spesso, anche adulti che vogliono intraprendere un nuovo percorso di studi o sfruttare un'occasione che non gli si era presentata nel passato. La scuola fa parte ormai della nostra quotidianità ma esattamente, cosa è la scuola e a cosa serve? Ma soprattutto, come dovrebbe essere organizzata una scuola?
Ci sono pareri contrastanti a riguardo. Molti pensano che la scuola abbia il compito di istruire gli alunni, di trasmettere loro la verità assoluta, che è unica, e di far si che crescano seguendo ideali precisi e prestabiliti. Altri credono, invece, che la scuola debba sviluppare negli studenti un desiderio di scoperta, che debba stimolarli ad essere curiosi e fantasiosi poiché, dietro ogni nostra certezza, si nascondono mille altri dubbi e domande. Quale tra queste due idee di scuola è quella giusta da intraprendere e diffondere?
Il principale obbiettivo della scuola è, sicuramente, quello di istruire e di trasmettere informazioni “teoriche” agli studenti in modo che essi possano ampliare il loro personale bagaglio culturale. Tuttavia sono in molti a pensare che ,il compito della scuola, si spinga anche molto oltre. L'insegnamento deve fornire agli studenti gli strumenti necessari per poter affrontare la vita, per poter relazionarsi con il mondo al di la dei muri della scuola che si presenta come un luogo pericoloso e pieno di insidie. La verità non è mai una sola e questo perché nella vita non si smette mai di imparare. Se l'uomo fosse certo di conoscere già tutte le risposte allora non esisterebbero più laboratori scientifici, esplorazioni di pianeti e ricerche mediche. L'uomo per compiere le grandi scoperte, a volte, deve avere la capacità di guardare oltre, di superare i confini della realtà, di lasciarsi trasportare dall'immaginazione.
All'interno della scuola un ruolo fondamentale lo svolge il professore, poiché su di lui ricade il compito di trasmettere agli studenti non solo le informazioni, ma a che l'amore per la materia che insegna. A questo proposito sono molte le cose da mettere in luce, prima fra tutte il contrasto tra competenze e conoscenze. Sempre più frequentemente, infatti, accade che i giovani, ricchi di conoscenze derivate dai libri e dalle ricerche, si trovino poi spaesati quando si tratta di dover svolgere un lavoro concreto o quando si trovano costretti a rapportarsi con adulti e professionisti. Questo accade perché non viene tenuta in considerazione la differenza sostanziale tra conoscenze e competenze che, nonostante si riferiscano a concetti differenti, sono collegati l'uno all'altro.
Poniamo il caso di un bambino durante il suo primo anno alle scuole elementari, possiamo considerarlo un “recipiente vuoto”, ovvero non ancora propriamente istruito. A questo punto entra in gioco l'insegnate che deve, quindi, trasmettere, tramite le sue lezioni, la conoscenza al bambino in questione. Una volta svolto questo primo compito l'insegnante deve passare alla seconda fase che non è di minore importanza, ovvero fornire al soggetto gli strumenti necessari per mettere in pratica le conoscenze acquisite. Personalmente credo che il compito principale dell'insegnante stia proprio in questo, creare un collegamento tra conoscenze e competenze, educare gli alunni alla vita dando loro la possibilità di sperimentare. Nell’organizzazione scolastica odierna questo collegamento sta venendo a mancare in quanto l’insegnamento sta tornando ad essere molto più teorico che pratico. Per il mantenimento dell’unione tra competenze e conoscenze svolge un ruolo fondamentale l’alternanza scuola-lavoro che ha , appunto, l’obiettivo di far avvicinare i giovani ad un ambito lavorativo. Dare l’opportunità agli studenti di poter diventare lavoratori per un determinato periodo di tempo è un ottimo modo per aiutarli a maturare e a sviluppare un senso critico della vita.
Sempre a questo proposito è fondamentale analizzare un altro importante ambito scolastico, quello del dovere e del piacere. Per trattare di questo argomento mi avvalgo ancora della figura dell’insegnante. Come spiega Massimo Recalcati nel suo libro “L'ora di lezione”, più si dice ad uno studente di studiare più si otterrà come risposta un rifiuto secco e irremovibile e questo perché la scuola è scoperta ma anche impegno, fatica e delusione. A questo punto bisogna far si che la scuola, e quindi lo studio, si trasformi da un dovere a un piacere e non c’è nessuno, migliore di un professore, in grado di dare il via a questo processo.
L’insegnate deve trasmettere ai suoi studenti un piacere nuovo, deve dare vita alle parole che pronuncia, deve trasformare i personaggi dei libri che sentiamo lontani da noi in persone concrete che condivido con noi gli stessi turbamenti e gli stessi piaceri e ,per svolgere questo difficile compito, anche l’insegnante deve studiare. Il modello ideale di professore ogni volta che spiega impara in modo che il sapere da lui trasmesso non sia un sapere tutto uguale, “morto”, ma ogni volta nuovo e diverso.
I “Promessi Sposi” non è, nella maggior parte dei casi, un libro che si legge per piacere in quanto viene trattato in modo approfondito in letteratura a scuola e, personalmente, era l’ultimo romanzo del quale avrei mai pensato di innamorarmi, principalmente per il fatto che mi veniva imposto di studiarlo. Nonostante ciò, ricordo ancora la prima lezione durante la quale il mio professore di lettere iniziò a leggercelo, ricordo il suo tono di voce e l’allegria con la quale addirittura, a volte, impersonava i personaggi per rendere la lettura a noi alunni più piacevole. La sua passione mi arrivò quel giorno stesso e ,da lì, si impadronì anche di me senza abbandonarmi più.
Se gli alunni vedono brillare la luce negli occhi del loro insegnante mentre spiega saranno molto più invogliati ad approfondire l’argomento, a esprimere le loro opinioni e a confrontarle con quelle degli altri. Gli studenti non sono vasi da riempire con nozioni teoriche, ma fuochi da accendere e alimentare con la passione per la conoscenza e l’amore per la curiosità.
Un mezzo per stimolare gli alunni può anche essere quello di organizzare lezioni interattive con l’ausilio della lavagna multimediale o dei laboratori come alternativa alla lezione frontale.
Altrettante numerose persone , però, affermano che l’istituzione scolastica dovrebbe adottare nuovamente l’organizzazione passata, nella quale non c’era confronto tra gli studenti, ne alcun tipo di relazione con il proprio insegnante. In accordo con le loro convinzioni, quindi, bisognerebbe ripristinare quella che Recalcati definisce come “La scuola di Edipo”.
In un modello di scuola così la parola dell’insegnate assume la stessa importanza che possedeva quella del padre di famiglia, ovvero diventa legge. Nella Scuola - Edipo non c’è spazio per la fantasia, non c’è margine di errore, c’è una sola verità e una soltanto, senza ulteriori dubbi o incertezze. Gli alunni crescono tutti seguendo gli stessi principi e rispettando le stesse regole e non hanno la possibilità di controbattere o porre domande in quanto la parola dell’insegnate corrisponde sempre al vero.
A mio avviso non c’è modo peggiore di trasmettere agli studenti il sapere. I giovani, come hanno il dovere di rispettare le leggi, devono anche avere il diritto di contestarle se non le ritengono corrette poiché è solo in questo modo che potranno maturare a livello personale. Nella Scuola - Edipo sembra che il principale obbiettivo degli insegnanti sia quello di “raddrizzare le viti storte” quando, in realtà, i professori dovrebbero amare la “stortura delle viti” poiché è quella che le rende uniche e speciali.
A sostegno della mia tesi non posso non citare una frase del libro “Un’ora di lezione”: il sapere del maestro non è quello che colma la mancanza, quanto quello che la preserva. Fornire agli studenti tutte le risposte di cui hanno bisogno non li stimolerà mai all’approfondimento e alla scoperta e non trasmetterà mai loro l’amore per il sapere. La difficoltà del compito dell’insegnante credo che sia proprio la capacità di fermarsi al momento giusto in modo da “piantare il seme del dubbio” negli scolari che, successivamente, li spingerà a riprendere in mano l’argomento con la stessa luce negli occhi che aveva il loro maestro mentre glielo spiegava.
In conclusione, non potrei affermare con maggior sicurezza che imporre limiti alla curiosità e alla fantasia degli studenti sia il modo peggiore per istruirli in quanto il compito della scuola non è solo quello di trasmettere informazioni agli studenti, ma è anche quello di stimolarli e prepararli ad affrontare la vita consapevolmente.
Terzo Premio
Gaia Licini 4^L
La scuola oggi come un tempo rappresenta lo stile di vita dello studente, e che ci si creda o no, è qualcosa da cui si viene ininterrottamente ed enormemente plasmati. Quel che solitamente non viene da pensare quando si parla di scuola è che questa non indica un solo luogo, un solo gruppo di persone e un solo concetto; la scuola è l’insieme degli stimoli che ci vengono dati da persone e strumenti capaci di provocare reazioni reciproche. Esiste quindi una scuola più giusta delle altre?
La scuola italiana di oggi, intesa come istituzione, si propone di offrire un’educazione non meno solida di quella imposta da un altro tipo di scuola, quella rappresentata dalla famiglia, dallo sport, dagli amici. Tutti i tipi di scuola, come quelli appena citati, rappresentano per ognuno di noi il concatenarsi di più di un aspetto (lavoro alternato ad attività di svago, momenti di tenerezza ma anche di severità), ed è proprio da un equo alternarsi delle diverse attività che si impara e si cresce.
Se si volesse parlare di una scuola di vita, intesa come l’insieme di tutti gli ambienti istruttivi, dal liceo alla chiacchierata con l’anziano vicino di casa, l’insegnamento che dovrebbe risultare sarebbe, per l’appunto, l’agile passaggio tra i diversi momenti della vita quotidiana. Questo concetto è analogo a quello che viene insegnato a noi del liceo linguistico, ossia lo scambio veloce e agevole tra più registri linguistici. Imparando ad adottare schemi, parole e ragionamenti diversi da quelli a cui siamo abituati, allarghiamo letteralmente i nostri orizzonti e apprendiamo come avvicinarci a culture diverse dalla nostra. Quel che però è tanto criticato dagli studenti, figli e/o atleti nello stesso tempo, è il modo in cui ciò viene insegnato. Oggi indubbiamente il sistema scolastico italiano è cambiato rispetto a quello del secolo scorso, ma ancora troppo a parer mio si cerca di mantenere un’idea di “giusto” e “statico” che, con il cambiare delle generazioni, va pian piano a sopprimere lo stimolo di cui si parlava all’inizio.
Nell’estratto di Ermanno Bencivenga, “Le due scuole”, esistono due tipi di scuole; in una gli studenti studiano fatti storici e leggi matematiche, nozioni effettive che sono fisse sempre e per tutti e che così devono rimanere. Da grandi, secondo l’autore, questi studenti “fabbricati uguali” tutti la stessa cosa. Nell’altra invece sembrano non esserci regole o verità assolute, così ognuno è libero di credere in ciò che vuole, anche riguardo agli eventi accaduti realmente. Da grandi ciascuno di questi studenti desidererà qualcosa di diverso dall’altro. Entrambi i gruppi di studenti sognano, addirittura qualcuno della seconda scuola desidera la stessa cosa del primo gruppo, ma tutti i membri della prima e della seconda hanno dei percorsi diversi. Se una via di formazione sia più valida dell’altra è relativo agli aspetti da volere valutare. E’ certo, per esempio, che se uno studente della seconda scuola si sottoponesse ad un quiz relativo alla cultura generale, questo più che probabilmente sbaglierebbe ogni risposta, in quanto è stato abituato a non prendere niente come certo e a considerare solo la sua idea. Viceversa, uno studente della prima scuola sottoposto ad un test su idee innovative e non ancora esistenti si troverebbe in svantaggio rispetto quello allenato a sfruttare la propria immaginazione. Ebbene è impossibile determinare quale dei tue tipi di scuola sia migliore dell’altro, in quanto entrambi sono validi ai fini di essere utili alla società, ma si può pensare che un team composto da un membro del primo e uno del secondo tipo di scuola possa essere effettivamente una soluzione equilibrata, in cui le debolezze di uno vengono colmate dai punti di forza dell’altro.
Il concetto di collaborazione nella scuola italiana non c’è quanto ci dovrebbe essere, prima di tutto perché la scuola stessa non è totalmente aperta con gli altri sistemi scolastici. Quante volte infatti si sente ribadire quanto la scuola italiana sia ottima in quanto a conoscenze e competenze, e quanto invece confronti con gli altri sistemi scolastici siano rari, se non delle vere e proprie eccezioni da parte di quegli insegnanti più cosmopoliti. Personalmente, la maggior parte degli studenti non sa come funzionino le altri istituzioni scolastiche mondiali, e pur sapendolo ancora troppo pochi vengono incitati a partire e a provare sulla loro pelle cosa significhi essere educati da persone e sistemi governativi che non sono i loro. Per fortuna, le possibilità di scambi culturali ed erasmus stanno diventando sempre più alla portata di tutti, ma la speranza è che i giovani, appartenenti sia alla scuola “rigida” sia a quella dei “sognatori”, siano incitati dalle loro scuole stesse a non limitarsi mai a ciò che abituale e a cercare in orizzonti diversi nuovi stimoli, al fine di comprendere che non esiste una sola e giusta via di insegnamento.